Il corso si propone di compiere una ricognizione della letteratura ebraico-americana dalle origini agli ultimi decenni del Novecento, sottolineandone l'evoluzione da fenomeno tipico di una marginalità etnica e culturale a parte costitutiva non solo della letteratura mainstream degli Stati Uniti, ma di quella mondiale. A tal proposito, si effettuerà una lettura puntuale di romanzi e racconti rappresentativi di tale tradizione e della sua evoluzione nel corso del Novecento.
• I racconti “The Miracle”, “How I found America”, “Wings”, “Hunger”, “The Fat of the Land”, in Anzia Yezierska, Hungry Hearts, Boston & New York, Houghton Mifflin 1920.
http://digital.library.upenn.edu/women/yezierska/hearts/hearts.html
• Saul Bellow, Herzog, London, Penguin 2001;
• Bernard Malamud, The Assistant, London, Penguin 1967;
• Philip Roth, American Pastoral, New York, Vintage 1997;
• Il racconto “The Pagan Rabbi” in Cynthia Ozick, The Pagan Rabbi and Other Stories. Syracuse University Press, 1995.
Testi critici (i seguenti testi saranno forniti dalla docente)
Simona Porro. “‘My One Story is Hunger’: il languore metafisico delle protagoniste di Anzia Yezierska”. ALTRE MODERNITÀ vol. 13, 2015, p. 1-14.
Jeffrey Rubin-Dorsky. “Philip Roth and American Jewish Identity: the Question of Authenticity”. American Literary History, Vol. 13, No. 1 (Spring 2001), pp. 79-107.
Sandra Kumamoto Stanley. “Mourning the Greatest Generation. Myth and History in Philip Roth’s American Pastoral”. Twentieth Century Literature, Vol. 51, No. 1 (Spring 2005), pp. 1-24;
Beverly Gross. “Bellow's Herzog”. Chicago Review, Vol. 17, No. 2/3, New Chicago Writing and Art (1964), pp. 217-221;
Matthew C. Roudane and Saul Bellow. “An Interview with Saul Bellow”. Contemporary Literature, Vol. 25, No. 3 (Autumn, 1984), pp. 265-28;
Walter Shear, “Culture Conflict in 'The Assistant'”. The Midwest Quarterly, Vol. VII, No. 4, Summer, 1966, pp. 367-80;
Edward A. Abramson. “Bernard Malamud and the Jews: An Ambiguous Relationship”. The Yearbook of English Studies, Vol. 24, Ethnicity and Representation in American Literature (1994), pp.146-156;
Simona Porro, “L’America come seconda Yavneh? Cynthia Ozick e la rinascenza ebraica statunitense degli anni Settanta del Novecento”. IPERSTORIA. Vol. IX, 2017, pp. 246-255.
Christina Dokuou and Daniel Walden. “The Pagan Condemnation and Orthodox Redemption of Rabbi Isaac Kornfeld”. Studies in American Jewish Literature, Vol. 15, 1996, pp. 6-16.
Obiettivi Formativi
Gli obiettivi formativi sono i seguenti:
a) introdurre alla conoscenza della letteratura ebraico-americana
b) offrire un bagaglio di conoscenze storico culturale e stilistico-formale, volto alla comprensione del fenomeno letterario e culturale in oggetto
c) consolidare le capacità critiche attraverso la lettura e il commento di romanzi e racconti
Prerequisiti
I prerequisiti per l'ammissione al corso sono quelli stabiliti dal corso di laurea in Lingue e Letterature Europee e Americane
Metodi Didattici
Lezione frontale e interattiva.
Altre Informazioni
L'insegnamento è un "esame a scelta" per gli studenti che non abbiano già totalizzato 18 CFU di letteratura angloamericana nella triennale. Per coloro che abbiano già 18 CFU nella disciplina può essere seguito come "prima letteratura" da abbinare a "prima lingua"
Modalità di verifica apprendimento
Orale con prova in itinere scritta. Si tratta di una prova semi-strutturata costituita da cinque domande. Il
candidato ne dovrà scegliere due e svilupparle entro limiti di spazio indicati sul
questionario. Gli studenti che superino la prova non saranno più interrogati sugli argomenti di quest’ultima e, all’esame orale, dovranno rispondere a una sola ulteriore domanda.
Programma del corso
Nelle prime lezioni del corso si definirà anzitutto l’oggetto di studio, soffermandosi sul concetto di narrativa ebraico-americana, una narrativa necessariamente bifronte, caratterizzata da un rapporto di ambivalenza nei confronti della cultura statunitense, cultura egemone a cui è ab origine avvinta da una forza centripeta e centrifuga. Cuore pulsante e creativo della produzione degli autori ebrei statunitensi è stato, infatti, per molto tempo, la ricerca di un equilibrio tra le seducenti sirene dell’American way of life e l’altrettanto prepotente richiamo ‘tribale’ della tradizione. Tale fenomeno si fa particolarmente evidente nei primi anni del Novecento, periodo in cui gli scrittori ebrei, immigrati di origine europea, si sono affacciati alla ribalta letteraria nazionale: tra le voci di spicco, si prenderà in esame quella di Anzia Yezierska.
Dopo la seconda guerra mondiale, il contributo culturale dell’indimenticabile coorte di pensatori ebrei soprannominata “The New York Intellectuals” ha preparato la strada a una generazione di romanzieri di origini ebraiche capace non già unicamente di una perfetta assimilazione nel mainstream, bensì anche della conquista di una posizione di primo piano nel canone letterario statunitense: a tal riguardo, si analizzerà la produzione del premio Nobel Saul Bellow, di Bernard Malamud e di Philip Roth.
Accomunati da un vivo anelito all’integrazione, questi autori non hanno esitato a lasciarsi alle spalle il pur ricchissimo retroterra spirituale ebraico delle origini per abbracciare le immense risorse culturali offerte dagli Stati Uniti. Anzitutto per Malamud e Bellow, ma anche per Philip Roth, la tradizione giudaica risulta, dunque, circoscritta a un’eredità culturale e identitaria, una miscela di valori, atteggiamenti e principi etici che, nell’economia dell’esistenza, si configura come la tappa fondante di un percorso formativo laico e di ampio respiro, iter che ha loro permesso di muoversi agevolmente tra le due culture, enucleandone di volta in volta gli elementi di spicco.
La predetta assimilazione nel mainstream ha concorso a stemperare la specificità etnica che aveva fino ad allora sceverato la produzione di matrice giudaica da quella statunitense, fino a giungere a una sostanziale indistinguibilità tra le parti. Non a caso, nel 1977, nell’introduzione al volume Jewish American Stories, Irving Howe ha proclamato il tramonto della letteratura ebraico-americana, a suo avviso fusa in un inestricabile vincolo di dipendenza figurale, tematica e stilistica con il processo migratorio ebraico dall’Europa orientale verso le metropoli del nord, un’esperienza che aveva toccato il picco di massima intensità negli anni Venti del Novecento, per poi ridursi considerevolmente dopo la fine della seconda guerra mondiale, fino a estinguersi. A detta di Howe, l’esaurirsi del fenomeno storico avrebbe progressivamente intaccato il repertorio di motivi della Jewishness a cui gli autori si erano fino ad allora ispirati. In questa luce, le generazioni successive a Saul Bellow, Bernard Malamud e Philip Roth, essendo cronologicamente distanti dal cuore storico della Yiddishkeit, non disporrebbero più degli strumenti necessari al fine di produrre letteratura genuinamente giudaica.
Negli Stati Uniti del periodo compreso tra la metà degli anni Sessanta del Novecento e l’inizio del decennio successivo si assiste, tuttavia, a una reviviscenza culturale su vasta scala, che vede una rinnovata enfasi sulle specificità della tradizione giudaica. Appuntando lo sguardo sulla produzione letteraria ebraico-americana tra il 1965 e il 1970, si riscontra, non a caso, una coorte di autori esordienti che, avendo superato le problematiche legate all’esperienza post-migratoria, ossia l’adattamento alla realtà statunitense – specialmente l’annoso conflitto tra gli imperativi categorici propri dell’universo spirituale della patria scritturale e le pragmatiche urgenze di quella d’elezione – si caratterizza per un’intensa pulsione autoreferenziale. In particolare, emerge la volontà comune di riscoprire e riattualizzare, valorizzandole, le proprie radici culturali, ponendo in primo piano la dimensione religiosa. Tra i nomi più autorevoli di questa Jewish Renaissance figura Cynthia Ozick, autrice a cui sarà dedicata la parte conclusiva del corso.